ENTI NON COMMERCIALI
Il registro delle attività sportive – di Guido Martinelli e Letizia Di Nicolantonio
Ai sensi dell’articolo 11 D.Lgs. 39/2021, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per lo sport, ha approvato, con apposito Decreto del 27.03.2023, il Nuovo Regolamento per la tenuta, conservazione e gestione del Registro Nazionale delle attività sportive dilettantistiche (in breve “R.A.S. registro attività sportive”), presso il Dipartimento per lo sport e gestito da Sport e Salute s.p.a., con funzione certificatoria della natura sportiva dilettantistica dell’attività svolta dalle Asd/Ssd, che sostituisce a tutti gli effetti il precedente Registro istituito presso il C.O.N.I. (articolo 1, comma 3, Regolamento).
Sono iscritte nel registro tutte le associazioni e società sportive affiliate già iscritte al registro C.O.N.I. alla data del 31 agosto 2022 (che sono state trasferite automaticamente) e tutte quelle che hanno chiesto l’affiliazione ad un organismo affiliante (Federazione sportiva, disciplina sportiva associata o ente di promozione sportiva) in data successiva.
Inoltre potranno iscriversi, a far data dal prossimo 1° luglio, anche tutti gli enti del terzo settore non costituiti in forma di Asd o Ssd.
L’iscrizione al registro è anche presupposto per poter “accedere a benefici e contributi pubblici di qualsiasi natura” (articolo 2, comma 1, lett. gg).
Inoltre il Registro trasmetterà l’elenco dei soggetti iscritti alla Agenzia delle entrateal fine di attestarne il diritto a godere delle agevolazioni fiscali previste per le sportive dilettantistiche.
Nel Regolamento vengono precisate le modalità operative dell’iscrizione telematica (è previsto l’obbligo di dotarsi di un indirizzo di posta elettronica univoco per le comunicazioni, senza alludere espressamente alla posta elettronica certificata – articolo 6, comma 8, del Regolamento), da effettuarsi per il tramite del proprio organismo affiliante, cui spettano anche funzioni di controllo della documentazione allegata.
Infatti il riconoscimento ai fini sportivi è di competenza dell’ente affiliante (e avverrà sulla base dei criteri previsti dai rispettivi regolamenti) mentre il registro attesterà la natura sportivo-dilettantistica dell’attività praticata.
È fatto obbligo, inoltre, in capo all’ente affiliante, di comunicare preventivamente ai propri affiliati e tesserati già iscritti che i dati raccolti saranno comunicati al Dipartimento per lo Sport (articolo 6, comma 5, Regolamento in esecuzione dell’articolo 12 D.Lgs. 39/2021).
Le modalità di iscrizione sono disciplinate dall’articolo 6 D.Lgs. 39/2021, dall’articolo 6 del Regolamento ed ulteriormente dettagliate con istruzioni operative, nell’allegato 1 al Regolamento stesso, con possibilità di ricorrere altresì al soccorso istruttorio in sede di compilazione.
La novità è il ripristino dell’obbligo del deposito dello statuto, in origine non previsto, che appare come necessario al fine di poter verificare il rispetto dei requisiti previsti dall’articolo 7 D.Lgs. 36/2021.
L’articolo 5 del Regolamento, ai requisiti previsti dall’articolo 5 D.Lgs. 39/2021 (ovvero l’esercizio di attività sportiva, compresa l’attività didattica e formativa, nell’ambito di una Federazione sportiva nazionale, Disciplina sportiva associata o di un Ente di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., che a mente dell’articolo 5 lettera e, del Regolamento deve essere comprovata), contempla requisiti ulteriori in capo alla Asd/Ssd istante, a pena di nullità dell’iscrizione stessa (articolo 8, comma 1, lettera b, del Regolamento), quali ad esempio, la presenza di una sede legale e/o operativa nel territorio dello Stato e la presenza di un valido rapporto di affiliazione con un Organismo sportivo riconosciuto dal Coni.
A tal fine, è fatto obbligo, a carico della Asd/Ssd richiedente, di allegare una dichiarazione indirizzata all’ente affiliante, entro 180 giorni dalla data di presentazione dell’iscrizione, dell’avvio di almeno un’attività sportiva o didattica o formativa.
Tale indicazione sembra aprire uno spiraglio alla soluzione di un problema che da troppo tempo appare ancora irrisolto.
Ossia se un sodalizio sportivo debba svolgere necessariamente sia attività competitiva che attività di avviamento o se possa essere sufficiente lo svolgimento di una solo di queste.
Soluzione che chi scrive auspica da tempo.
La procedura di iscrizione, in caso di esito positivo, rilascia un attestato di iscrizione con un QR Code che identifica i dati (dati dell’ente sportivo, delle affiliazioni, degli organi di governo, dei tesserati, delle attività esercitate, delle rispettive discipline sportive identificate con apposito codice nell’elenco in calce all’allegato 1) corrispondenti alla Asd/Ssd neo-iscritta (All. 1 al Regolamento).
Infatti, l’iscrizione si rinnova automaticamente con la ri-affiliazione all’ente affiliante (articolo 7, comma 1, Regolamento), fermo restando l’obbligo in capo alla Asd/Ssd iscritta, di comunicare a mezzo del proprio legale rappresentante p.t. o un suo delegato (articolo 6, comma 14, Regolamento), eventuali modifiche ed aggiornamenti, con apposita dichiarazione indirizzata all’organismo affiliante, entro il 31 Gennaio dell’anno successivo il verificarsi dell’evento (articolo 7, comma 2, Regolamento).
Rimane ferma la possibilità di previsione, con apposito D.P.C.M. di ulteriori requisiti e/o autorizzazioni speciali all’iscrizione ad opera del Dipartimento per lo Sport, in casi eccezionali.
L’articolo 8 del Regolamento contempla casi tassativi di nullità dell’iscrizione, primo tra tutti l’indicazione di un codice fiscale o partita Iva non corretti.
Entro 45 giorni dalla presentazione dell’istanza, il Dipartimento dello Sport può accogliere, rifiutare l’iscrizione o disporne l’integrazione che può avvenire o spontaneamente entro 10 giorni dalla richiesta, oppure previo invito espresso del Dipartimento per lo Sport che fissa un termine non superiore a 180 giorni, pena la cancellazione dal Registro (articolo 6, comma 13, del Regolamento).
Altre cause di cancellazione sono previste dall’articolo 9 del Regolamento: istanza motivata da parte della Asd/Ssd interessata oppure accertamento d’ufficio della mancanza dei requisiti di legge e regolamento, nonché provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
Avverso il provvedimento di cancellazione o accertamento di nullità è ammessa istanza di annullamento o revisione in autotutela, entro 30 giorni dalla pubblicazione del provvedimento sul sito istituzionale del Dipartimento per lo Sport (articolo 10 Regolamento).
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Prestazioni sportive: sintesi dell’evoluzione dei premi – di Biagio Giancola, Guido Martinelli
Merito della riforma dello sport (D.Lgs. 36/2021), tra gli altri, è stato quello di far rientrare nuovamente la disciplina dei premi nell’ambito del campo di applicazione dell’articolo 30 D.P.R. 600/1973 staccandolo dalla disciplina dei compensi sportivi a cui era stato equiparato con la L. 342/2000 e il testo del novellato dell’articolo 67, comma 1, lett. m, Tuir.
Invero, è prassi frequente nello sport la corresponsione di un benefit (sia esso in natura oppure in denaro), in favore di uno o più beneficiari, legato al raggiungimento di un risultato che, più che alla partecipazione, mira al podio.
Per fare un esempio, si pensi ai premi erogati a tecnici o tesserati di Asd o Ssd, legati a performance sportive, come il passaggio di categoria oppure il premio percepito da un atleta dilettante in una gara di pesca, podistica, ecc..
Il comma 6 quater dell’articolo 36 D.Lgs. 36/2021 delinea la definizione di premio, quale corresponsione di somme ai propri tesserati, in qualità di atleti e tecnici nell’area del dilettantismo, ad opera del Coni, CIP, FSN, discipline sportive associate, Eps, Asd e Ssd, sia a titolo di partecipazione a raduni in qualità di rappresentanti delle squadre nazionali di disciplina nelle manifestazioni (nazionali o internazionali), che per i risultati ottenuti nelle competizioni sportive.
Nel primo caso, il premio assume i tratti di un “attestato di partecipazione”, mentre nel secondo caso il c.d. “premio vittoria”, rappresenta una vera e propria “ricompensa”.
La caratteristica fondamentale del premio, dunque, è la funzione di incentivo e, allo stesso tempo, di gratificazione per i risultati sportivi raggiunti.
Tratto essenziale è l’aleatorietà, nel senso che il premio è collegato ad una condizione futura ed incerta, che deve verificarsi affinché lo sportivo possa beneficiarne: si tratta generalmente di un risultato da raggiungere (che potrebbe anche non essere raggiunto).
Come tale, il premio assume i caratteri di impulso alla vittoria per massimizzare la propria prestazione.
Inoltre l’erogazione del premio non può essere contrattualizzata, né prestabilita: la sua corresponsione prescinde dalla volontà congiunta delle parti.
In tal senso si ritiene che il premio possa essere liberamente predeterminato nell’an e definito nel quantum, fermo restando il divieto di non discriminazione: stesso premio alle medesime condizioni per tutti gli appartenenti a quella precisa categoria.
Le scelte nella corresponsione del premio, in tal senso, non si ritengono sindacabili, purché vincolate a condizioni oggettivamente prestabilite, identificate o identificabili, ma sempre future ed incerte.
Il premio non va confuso con la retribuzione differita legata a risultati.
In questo secondo caso prevale la componente negoziale, mentre il premio ha la caratteristica della unilateralità, ossia io che l’ho promesso posso poi pure rifiutarmi di erogarlo senza che il vincitore abbia acquisito alcun diritto soggettivo sul premio medesimo.
Il premio potrà essere corrisposto anche a volontari.
Infatti, la legge (articolo 29, comma 2, D.Lgs. 36/2021) si limita a stabilire espressamente il solo divieto assoluto di retribuzione, salvo rimborso delle spese documentate a piè di lista (vitto, alloggio, trasporto per le prestazioni sportive fuori il comune di residenza).
La ratio appagante dell’istituto ne impone un’applicazione estensiva, senza discriminazione alcuna, volontari compresi.
Dunque, anche una prestazione eccellente di un volontario potrebbe determinare l’attribuzione del premio.
Ma passiamo all’aspetto fiscale.
A questo genere di emolumenti si applica la ritenuta a titolo di imposta nella misura del 20%, da versare all’erario con modello F24 entro il giorno 16 di ciascun mese successivo a quello in cui viene percepito (codice tributo 1047) e con rivalsa facoltativa: chi eroga il premio non è necessariamente tenuto ad assolvere al pagamento che potrà, dunque, essere anche a carico esclusivo del percettore.
La ritenuta è definitiva, pertanto non necessita alcun adempimento, ad eccezione dell’obbligo in capo a chi la corrisponde, di inserirlo nell’apposito prospetto del modello 770 entro il mese di ottobre dell’anno successivo o, in alternativa nella dichiarazione dei redditi (qualora prevista).
Se i premi sono costituiti da beni diversi dal denaro, i beneficiari hanno la facoltà, se chi eroga il premio intende esercitare la rivalsa, di chiedere un premio di valore inferiore già prestabilito, di un importo pari all’imposta gravante sul premio originario.
Nel caso in cui il premio fosse in natura, si dovrà applicare la ritenuta sul valore commerciale del bene stesso.
ENTI NON COMMERCIALI
Le prestazioni assistenziali per i co.co.co. sportivi – prima parte – di Guido Martinelli e Matilde Ambrosi
Il D.Lgs.36/2021, per quanto riguarda la riforma del lavoro sportivo dilettantistico, pone grande attenzione alla fattispecie del lavoro autonomo posto in essere nella forma della collaborazione coordinata e continuativa.
Sia prevedendo la presunzione relativa di tale inquadramento, per le prestazioni di lavoro sportivo dilettantistico di durata inferiore alle 18 ore settimanali (articolo 28, comma 2, D.Lgs. 36/2021), sia confermando la figura delle co.co.co. “amministrativo – gestionali” già presenti nella abrogata disciplina dei compensi di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir (articolo 37 D.Lgs. 36/2021).
Questo ponendosi in continuità con scelte passate quali, ad esempio, la confermata non applicabilità della disciplina del rapporto di lavoro subordinato alle collaborazioni sportive “che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente” in virtù della deroga prevista per le associazioni e società sportive dilettantistiche dalla lettera d) dell’articolo 2, comma 2, D.Lgs. 81/2015.
Per suddetta categoria, sia per le figure dei lavoratori sportivi che degli amministrativo-gestionali, è previsto l’obbligo di iscrizione agli Enti Inps ed Inail, nello specifico i contributi previdenziali saranno versati in gestione separata Inps, nella misura di un terzo dell’importo a carico del collaboratore e di due terzi a carico del committente, il quale provvederà al pagamento di entrambe le quote in qualità di sostituto d’imposta.
Si specifica che il trattamento previdenziale previsto per i co.co.co amministrativo-gestionale vale anche per le co.co.co sportive, in quanto per entrambe le categorie sorge al superamento della soglia di euro 5.000,00 l’obbligo di versamento dei contributi in Gestione separata Inps.
L’unica differenza tra le due fattispecie è quella che, nel caso degli amministrativo-gestionali, non trova applicazione la presunzione di co.co.co. per le prestazioni di durata inferiore alle 18 ore.
Mentre nella gestione ordinaria Inps il criterio di anzianità è rapportato alle settimane contributive, l’anzianità contributiva in Gestione Separata si basa su minimali annui, determinati ogni anno dall’Ente di riferimento.
Per il 2023 il minimale stabilito da versare, per considerare un’intera annualità valida ai fini contributivi è pari ad euro 17.504,00.
Tale valore non è condizione minima necessaria per vedersi riconosciuti i trattamenti, ma rappresenta l’importo minimo indicativo per vedersi riconosciuto l’equivalente di un anno completo di contributi (pari a 52 settimane in regime ordinario).
Ne deriva che, se per ipotesi il reddito di riferimento fosse la metà del minimale, il collaboratore non si vede accreditato un anno di contributi, bensì un semestre.
Va ricordato, poi, che ai sensi di quanto previsto dal comma 8-ter dell’articolo 35 D.Lgs. 36/2021, fino al 31 dicembre 2027 la contribuzione per i lavoratori sportivi è dovuta nei limiti del 50 per cento dell’imponibile contributivo con equivalente riduzione dell’imponibile pensionistico.
Sulla base dell’imponibile previdenziale annuo di ciascun collaboratore e dell’equivalente in termini di anzianità contributiva, saranno poi determinati i singoli importi delle indennità.
Al superamento della soglia di compensi disciplinata dall’articolo 8 bis del decreto in esame (euro 5.000) per i co.co.co. che non siano già iscritti ad altro titolo ad una gestione previdenziale, è prevista l’applicazione di un’aliquota pari al 27,03% suddivisa come di seguito:
- 25,00% a finanziamento per IVS;
- 0,72% a finanziamento degli eventi di malattia, maternità/paternità ed Assegno Unico (dal 1°
marzo 2022 in sostituzione dell’Anf); - 1,31% a copertura dell’indennità di disoccupazione involontaria DIS-COLL (Disoccupazione
collaboratori)
L’indennità di malattia è riconosciuta a partire dal 4° giorno di prognosi e per massimo di un sesto della durata complessiva del rapporto di lavoro, nel limite massimo di 61 giorni (circolare Inps n. 76 del 16.04.2007).
Il valore del trattamento economico è determinato nella misura dell’8%, 12% e 16% dell’importo che si ottiene dividendo per 365 il massimale contributivo previsto nell’anno di inizio della malattia, sulla base della contribuzione attribuita nei 12 mesi precedenti la malattia (da uno a quattro mesi l’8%, da cinque a otto mesi il 12% e da nove a 12 mesi il 16%).
Per le/i lavoratrici/lavoratori iscritte esclusivamente alla Gestione Separata Inps, il diritto al trattamento spetta se nei dodici mesi precedenti il mese di inizio del periodo indennizzabile di maternità/paternità, risulta effettivamente accreditato o dovuto alla Gestione separata almeno un contributo mensile.
La decorrenza e la durata del trattamento avvengono nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente: pertanto iniziando due mesi prima della data presunta del parto e concludendosi tre mesi dopo la data effettiva del parto.
Alternativamente, dal mese prima della data presunta del parto, purché la prosecuzione dell’attività lavorativa durante l’ottavo mese di gestazione non arrechi pregiudizio alla salute della lavoratrice o del nascituro (certificata dal medico) e per i 4 mesi successivi alla data del parto.
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Le prestazioni assistenziali per i co.co.co. sportivi – seconda parte – di Guido Martinelli e Matilde Ambrosi
La riforma del lavoro sportivo che entrerà in vigore il prossimo 1° luglio porta la novità dell’ingresso, nel mondo dello sport dilettantistico, delle tutele assistenziali.
Proseguiamo l’indagine iniziata con il precedente contributo.
L’Assegno Unico ed Universale è stato istituito ai sensi dell’articolo 1 D.Lgs. 230/2021, sostituendo, dal 1° marzo 2022, l’Assegno per il Nucleo Familiare, che è stato così abrogato.
Infatti, è previsto che “limitatamente ai nuclei familiari con figli e orfanili, a decorrere dal 1° marzo 2022, cessano di essere riconosciute le prestazioni di cui all’articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153”.
La domanda deve essere presentata telematicamente, in riferimento all’anno per cui si ha diritto, a partire dal 1° febbraio dell’anno successivo.
Il nucleo familiare, ai fini della determinazione del valore dell’Assegno Unico, può essere così composto:
– il richiedente l’assegno;
– il coniuge non legalmente ed effettivamente separato;
– l’unito civilmente ai sensi dell’articolo 1 L. 76/2016;
– i fratelli, le sorelle ed i nipoti in linea collaterale del richiedente, minori di età o maggiorenni inabili, se orfani di entrambi i genitori e non aventi diritto alla pensione ai superstiti.
La DIS-COLL è l’indennità corrisposta ai collaboratori che, involontariamente, hanno perso lo stato di occupazione e che sono iscritti in via esclusiva alla Gestione Separata presso l’Inps.
Essa può avere una decorrenza:
– dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di collaborazione, se la domanda è presentata entro l’ottavo giorno;
– dal giorno successivo alla presentazione della domanda, se è presentata oltre l’ottavo giorno successivo alla cessazione;
– dall’ottavo giorno successivo alla conclusione del periodo di maternità o di degenza ospedaliera, se la domanda è presentata durante il periodo di maternità o degenza ospedaliera regolarmente indennizzati;
-dal giorno successivo alla presentazione della domanda, se è presentata dopo la conclusione del periodo di maternità o di degenza ospedaliera.
La DIS-COLL è corrisposta con cadenza mensile per un numero di mesi pari ai mesi di contribuzione accreditati nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio dell’anno precedente l’evento di cessazione del lavoro e il predetto evento.
In ogni caso, la prestazione può essere corrisposta per una durata massima di 12 mesi.
Nel caso di collaborazione coordinata e continuativa, viene preso a riferimento il reddito dei suddetti 12 mesi risultante dai versamenti contributivi riferiti al lavoratore interessato, sulla base della dichiarazione del committente.
Ai fini della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione di DIS-COLL.
Per i periodi di fruizione dell’indennità è riconosciuta la contribuzione figurativa rapportata al reddito medio mensile degli ultimi quattro anni, entro un limite di retribuzione pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile della DIS-COLL per l’anno in corso.
Il valore dell’indennità mensile corrisposta è pari al 75% del reddito medio mensile, che deve essere in ogni caso rapportato ad un valore di riferimento stabilito annualmente dall’Ente.
Il valore dell’erogazione mensile non può comunque essere superiore alla soglia massima stabilita annualmente dall’Inps (per il 2022 è pari a 1.360,77 euro).
A partire dal sesto mese di fruizione, l’indennità DIS-COLL si riduce ogni mese nella misura del 3%.
Si precisa che, al contrario di quanto previsto per i lavoratori dipendenti, per i collaboratori non trova applicazione il cosiddetto principio di automaticità delle prestazioni (articolo 2116 cod. civ.), il quale prevede che l’ente previdenziale riconosca le proprie prestazioni anche laddove si verifichi una scopertura contributiva da parte del datore di lavoro, per evasione od omissione contributiva: le indennità riconosciute dall’istituto in favore dei co.co.co. sono corrisposte soltanto laddove il versamento dei contributi sia avvenuto con regolarità.
Trova eccezione a quanto sopra soltanto il trattamento di maternità/paternità per i collaboratori.
Si pone, infine, il tema della possibile convivenza di più rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ove solo uno di questi sia di lavoro sportivo.
Sarà sicuramente necessario, in questo caso, che la prassi amministrativa chiarisca, in presenza di questa situazione, come potranno convivere i due rapporti.
Ove la molteplicità di rapporti sia di natura sportiva si ritiene che debba essere fatta una ulteriore distinzione.
Sicuramente si ritiene compatibile un rapporto di co.co.co. amministrativo-gestionale con uno di lavoro sportivo.
Il dubbio che permane diventa solo se, in questo caso, per entrambi i rapporti si possa godere delle fasce esenti di 5.000 (ai fini previdenziali) e 15.000 (ai fini fiscali).
Tendenzialmente la risposta appare positiva ma anche per tale tema un chiarimento amministrativo appare opportuno.
Nel caso in cui, invece, i rapporti siano entrambi (o più) tutti di natura amministrativo-gestionale o di lavoro sportivo si ritiene che si ricada nell’esercizio di arti o professioni e, pertanto, necessiterà aprire la partita Iva.
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Alcune conseguenze fiscali della riforma dello sport – prima parte – di Guido Martinelli
Il D.Lgs. 36/2021 la cui entrata in vigore è, come è noto, ad oggi prevista per il prossimo 1° luglio, ha due norme specificatamente dedicate agli aspetti fiscali della riforma (articolo 12 “Disposizioni tributarie” e articolo 36 “Trattamento tributario”) ma nasconde al proprio interno ulteriori conseguenze di carattere fiscale che proveremo ad analizzare.
L’articolo 7, comma 1 del decreto in esame prevede che l’oggetto sociale degli enti sportivi dilettantistici debba prevedere: “l‘esercizio in via stabile e principale dell’organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche, ivi comprese la formazione, la didattica, la preparazione”.
Questa norma differisce da quella oggi in vigore (articolo 90, comma 18, L. 289/2002, che, invece, recita: “organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l’attività didattica per l’avvio, l’aggiornamento e il perfezionamento nelle attività sportive”) per due
aspetti essenziali.
L’esercizio dell’attività sportiva deve avvenire in via stabile e principale e deve prevedere non solo l’organizzazione ma anche la gestione di attività sportive dilettantistiche.
Quest’ultimo aspetto della gestione è confermato anche dal codice del terzo settore che ha una formulazione analoga (“organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche”) per l’attività di interesse generale di carattere sportivo.
Il concetto della gestione della attività sportiva dilettantistica, come attività ulteriore e diversa rispetto alla mera organizzazione è ribadito anche nel regolamento del registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, tenuto dal dipartimento sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Prima considerazione da svolgere è, necessariamente, quella che, se il legislatore ha aggiunto alla precedente formulazione il concetto di “gestione”, aveva evidentemente una finalità (ubi lex voluit dixit).
Al successivo articolo 9, sulle attività secondarie e strumentali, troviamo indicati, al comma 1bis, i proventi derivanti “dalla gestione di impianti e strutture sportive”.
Ne deriva, quindi, che è attività principale la gestione di “attività sportive” mentre è secondaria quella di “impianti e strutture sportive”.
Si ritiene quindi che, alla luce del confronto tra le varie norme, un ente sportivo dilettantistico che si limitasse a gestire un impianto sportivo, “affittando” spazi ad altre associazioni sportive o che si limitasse ad incassare ingressi nell’impianto (tipo per il nuoto libero in una piscina o l’accesso in sala pesi per una palestra) senza svolgere all’interno dell’impianto alcuna attività formativa (attraverso l’attivazione di specifici corsi di discipline sportive riconosciute dal Coni) si stia limitando alla gestione di impianti e strutture sportive e, pertanto, non potrebbe essere riconosciuto ai fini sportivi e iscritto al registro relativo, con conseguente perdita, per tale tipo di attività, di qualsiasi agevolazione fiscale sia ai fini dei redditi che iva.
Ovviamente, ad analoga conclusione per l’aspetto esclusivamente fiscale, si arriva anche nel caso in cui il nostro ente pur “gestendo” attività sportiva propria (mediante corsi o manifestazione agonistiche) detenga comunque proventi derivanti dalla mera messa a disposizione di strutture sportive senza alcuna prestazione didattica o agonistica.
Ad analoga conclusione si perviene affrontando il tema da altro punto di vista. Le attività secondarie e strumentali, per come definite, sono attività “conformi alle finalità istituzionali” principali dell’ente sportivo?
Se, come credo, la risposta dovrà essere negativa, ne deriverà che tutta l’attività di gestione di strutture sportive, senza l’organizzazione di attività al proprio interno, contrariamente a quanto avvenuto fino ad oggi, sarà da considerarsi di natura commerciale con conseguente regolare assoggettamento degli importi che ne conseguono a Iva e imposte sui redditi.
Ma ancora più grave l’ulteriore conseguenza che potrà derivare da questo ragionamento, ove fosse corretto: ossia trattandosi di proventi non connessi con l’attività istituzionale ai fini Iva non potranno godere neanche delle agevolazioni di cui alla L. 398/1991.
Altro tema. Il comma 4 dell’articolo 36 disciplina il trattamento fiscale del premio di addestramento e formazione tecnica da versare, in caso di sottoscrizione del primo contratto di lavoro sportivo, dalla società di nuovo tesseramento alle società che hanno provveduto in precedenza alla formazione dell’atleta.
Viene previsto che detto premio sia, ai fini Iva, equiparato alle prestazioni esenti e che: “qualora sia percepito da società e associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro che abbiano optato per il regime di cui alla legge 16 dicembre 1991 n. 398 non concorre alla determinazione del reddito di tali enti”. È evidente, argomentando a contrariis, che allora il premio di formazione diventa componente positiva di reddito per tutti gli altri enti sportivi dilettantistici che non abbiano optato per la disciplina indicata oppure per gli enti del terzo settore a cui questa disciplina non si applica.
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Alcune conseguenze fiscali della riforma dello sport – seconda parte – di Guido Martinelli
La circostanza dell’attività sportiva svolta in via stabile e principale conduce ad ulteriori conseguenze.
Il tema è quello già trattato nel nostro precedente contributo. Le attività secondarie e strumentali possono ritenersi o meno conformi alle finalità
istituzionali che sono, come indicato, lo svolgimento in via stabile e principale di organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche.
Questo è un passaggio che andrebbe chiarito con inequivocabile prassi amministrativa per evitare le conseguenze che stiamo descrivendo in queste analisi. Partiamo dai c.d. “contributi corrispettivi” erogati dai Comuni ai gestori di impianti sportivi ed espressamente indicati come tali nelle convenzioni di affidamento degli impianti.
Fino ad oggi, in applicazione dell’articolo 143, comma 3, lett. b), Tuirvenivano considerati, per le associazioni sportive, istituzionali ai fini delle imposte sui redditi ma soggetti ad Iva.
Il presupposto normativo, però, prevede che questi siano tali se corrisposti per “attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali”.
Potranno continuare ad essere considerati tali?
A mio avviso sì, nella misura in cui il destinatario effettivamente svolga attività sportive dilettantistiche.
Se così non fosse (perché, come abbiamo visto nel precedente contributo, l’attività si potrebbe limitare alla gestione dell’impianto e alla messa a disposizione di terzi di strutture sportive) invece, così come già accade oggi per le società sportive di capitali (che in quanto enti non commerciali non possono applicare l’articolo 143 Tuir) il contributo corrispettivo corrisposto dall’ente pubblico proprietario dell’impianto sportivo per la sua gestione diventerebbe anche componente positiva di reddito.
Ma l’aspetto di maggiore impatto sarà un altro.
Molte associazioni sportive (in specie quelle che dispongono di una sede fisica tipo tennis, golf, vela, bocce o per il rugby le attività del c.d. “terzo tempo”) svolgono, spesso e volentieri, per i propri associati “non atleti” delle attività ricreative per le quali richiedono un corrispettivo specifico.
Basti pensare alla banale quota di iscrizione ad una gara di carte (che non sia il bridge, attività sportiva riconosciuta) o a una rassegna cinematografica, ad una gita, ad un corso di cucina, ecc..
I corrispettivi specifici riscossi a fronte di tutte queste attività di carattere ricreativo ora non potranno più essere considerati di carattere istituzionale e, come tali, diventeranno soggette ad Iva e ad imposte sui redditi anche se versate da associati o da tesserati.
Ma c’è di più.
In alcuni casi gli statuti di queste associazioni sportive distinguono le categorie di soci che hanno diritto di fruire gli impianti sportivi da quelli a cui questo diritto è precluso (i c.d. frequentatori) e che hanno accesso solo alla club house e alle attività ricreative.
In presenza di una tipologia di associati con queste caratteristiche, per la sportiva, potrebbe essere messa in discussione addirittura la natura istituzionale anche della quota associativa, non solo quella dell’eventuale corrispettivo specifico.
L’unica soluzione per ovviare a queste conseguenze è quella di far diventare la sportiva ente del terzo settore (in questo caso associazione di promozione sociale) potendo svolgere, così, più attività di interesse generale e fare rientrare anche queste attività tra quelle di natura istituzionale.
Un punto che necessiterebbe di un intervento interpretativo da parte della Agenzia delle entrate è la disposizione di cui al comma 3 dell’articolo 36, laddove viene previsto che la cessione del contratto di lavoro subordinato sportivo degli atleti dilettanti (e, si ritiene, analogamente, anche quello di collaborazione coordinata e continuativa) sia soggetto, per le società ed associazioni sportive dilettantistiche senza fini di lucro, all’agevolazione di cui all’articolo 148, comma 3, Tuir.
Questa norma richiede una esegesi complessa.
Intanto la circostanza che, in questa specifica fattispecie, il legislatore espressamente indica “senza scopo di lucro” porta a ritenere che le società sportive che volessero utilizzare la facoltà, di cui al comma 3 dell’articolo 8, di parziale distribuzione degli utili, non potrebbero applicare la norma in esame.
Ulteriormente va chiarito se l’espressa menzione dell’articolo 148ne consente l’applicazione anche agli enti sportivi del terzo settore (che, come è noto, a partire dal momento in cui sarà operativo il titolo decimo del codice del terzo settore non potranno più applicare detta norma) ma principalmente, se questa attività di cessione degli atleti, espressamente ricompresa tra le attività secondarie e strumentali dal secondo comma dell’articolo 9, come tale, quindi, non conforme alle finalità istituzionali, potrà trovare comunque applicazione.
Per concludere, l’articolo 29 disciplina la prestazione dei volontari sportivi. Il comma 3 recita: “Le prestazioni sportive di volontariato sono incompatibili con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività sportiva”.
Questa norma renderà non più possibile un comportamento abbastanza diffuso.
Ossia del Presidente di un ente sportivo che dichiara di ricoprire la carica in maniera gratuita ma di essere poi retribuito, con le facilitazioni previste per il lavoro sportivo, come istruttore.
Se vorrà, dovrà suddividere il compenso tra i due incarichi applicando la tassazione prevista per ogni singola fattispecie.
ENTI NON COMMERCIALI
La bozza di nuovo decreto correttivo sulla riforma dello sport – di Guido Martinelli
Queste ultime settimane sono state frenetiche per tutti coloro i quali si occupano, professionalmente, di assistenza al mondo dello sport dilettantistico.
A fine maggio il Consiglio dei Ministri ha approvato, in prima lettura, un secondo correttivo ai decreti di riforma dello sport (il quale, contrariamente al precedente, interviene, in misura più o meno rilevante, su tutti i cinque decreti di riforma dello sport).
Si ricorda che questo testo dovrà raccogliere il parere consultivo delle commissioni parlamentari e poi tornare in Consiglio dei Ministri per l’approvazione definitiva che potrà esserci anche su testo parzialmente diverso da quello appena approvato.
A seguire dovrà esserci la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
È stata confermata l’entrata in vigore al 1° luglio dell’ultimo decreto ancora in “sospeso” (il n. 36 sul lavoro sportivo).
Si evidenzia che ormai non ci sarebbero più neanche i tempi tecnici necessari per poter approvare una norma di rinvio del citato testo.
Cerchiamo, quindi, di mettere, per quanto ad oggi noto, un po’ d’ordine.
Dal 1° luglio, quindi, viene abrogata la disciplina sui c.d. compensi sportivi dilettantistici (il noto articolo 67, comma 1, lettera m, Tuir) con la quale stavamo convivendo dal 2000 (per l’esattezza dalla L. 342/2000).
Ciò sta a significare che scompaiono i c.d. “falsi dilettanti” ed entrano anche nel mondo dello sport dilettantistico le tutele presenti in ogni altro settore della vita lavorativa.
Non solo quelle di carattere previdenziale o assistenziale ma anche, ad esempio, quelle che consentiranno al lavoratore sportivo di essere creditore privilegiato in situazione di crisi dell’impresa sportiva.
Due sono i provvedimenti introdotti dalla bozza di nuovo decreto che, una volta approvati, alleggeriranno il peso della entrata in vigore della riforma.
Il primo prevede che le società e associazioni sportive dilettantistiche potranno adeguare il loro statuto ai nuovi principi previsti dal D.Lgs. 36/2021 entro il 31 dicembre 2023.
Il mancato adeguamento degli statuti comporterà la cancellazione dal registro con conseguente perdita della natura di associazione o società sportiva dilettantistica sia ai fini fiscali che di disciplina dei rapporti di lavoro.
Purtroppo non sembra sia stata accolta la proposta, come era accaduto per le modifiche di statuto degli enti del terzo settore, di poterlo fare con assemblea ordinaria e in assenza di imposta di registro.
Altra norma “cuscinetto” che dovrebbe essere introdotta riguarda coloro i quali non avessero scelto di utilizzare i canali già operativi per gli adempimenti connessi a qualsiasi altro rapporto di lavoro; in caso di contratti di lavoro sportivo nella forma della collaborazione coordinata e continuativa è consentito loro di poter attendere le nuove funzioni del portale del registro attività sportive e, di conseguenza, gli adempimenti per detti contratti relativi al periodo da luglio a settembre potranno essere effettuati entro il 31 ottobre 2023.
Importante novità è l’estensione, così come già previsto per gli enti del terzo settore, anche per le sportive, della possibilità che le attività conformi alle finalità istituzionali siano compatibili con tutte le destinazioni d’uso dell’immobile dove vengono svolte.
Gli altri punti di interesse per il mondo dello sport dilettantistico possono così sintetizzarsi:
– lo svolgimento per due esercizi consecutivi di attività secondarie e strumentali i cui proventi eccedessero i limiti che saranno fissati da un imminente decreto comporterà la cancellazione d’ufficio dal Ras;
– vengono esclusi dalla categoria dei lavoratori sportivi i professionisti iscritti ad un albo riconosciuto per legge e che svolgono quel tipo di attività nell’ambito sportivo;
– viene previsto un sistema di silenzio assenso per i pubblici dipendenti che intendano operare a titolo oneroso nello sport dilettantistico;
– viene elevato da 18 a 24 il limite orario di prestazione d’opera settimanale al di sotto del quale scatta la presunzione relativa per i lavoratori sportivi dilettanti di collaborazione coordinata e continuativa;
– i contratti di lavoro sportivo si applicano anche nei confronti di FSN / DSA / EPS;
– viene introdotta la possibilità di riconoscere ai volontari rimborsi spese in assenza di documentazione fino ad un massimo di 150 euro mensili;
– viene portato a 14 anni il limite d’età minimo per i contratti di apprendistato degli sportivi;
– ai lavoratori sportivi che ricevono compensi annualmente non superiori a 5.000 euro si applicano le disposizioni dell’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 81/2008;
– in sede di affiliazione o di riaffiliazione dovrà essere comunicato il nominativo del responsabile della protezione dei minori;
– i lavoratori che percepiscono compensi inferiori ai 5.000 euro avranno gli stessi obblighi assicurativi dei volontari;
– i compensi dei co.co.co. sportivi dilettanti non concorrono alla base imponibile Irap fino all’importo di euro 85.000;
– viene abrogato l’obbligo del deposito del modello EAS.
ENTI NON COMMERCIALI
Il documento di valutazione rischi e lo sport dilettantistico – di Francesco Scrivano, Guido Martinelli
La prossima entrata in vigore del D.Lgs. 36/2021 determina un radicale cambiamento della disciplina in materia di “lavoro sportivo”, che produce, per quanto di nostro interesse oggi, difficoltà interpretative ed operative nel coordinamento della novella con le molteplici normative poste a tutela del lavoratore, che non tengono invece conto della specificità del lavoro sportivo riconosciuta sia dall’articolo 5 della legge delega (L.
86/2019) che dal già citato decreto delegato.
L’introduzione normativa di una categoria unica di “lavoratore sportivo”, autonomo, subordinato o parasubordinato, superando la previgente distinzione tra professionismo e dilettantismo e la qualificazione avversata dalla Cassazione ma comunque assai diffusa di reddito diverso, produce che, fermi i prestatori dotati di partita Iva, che svolgono le loro prestazioni in autonomia producendo un reddito di lavoro autonomo, tanto i lavoratori subordinati dello sport quanto i co.co.co. di cui all’articolo 28 e 37 D.Lgs. 36/2021 produrranno redditi di lavoro subordinato o agli stessi parificato e non più redditi diversi.
Questa nuova qualificazione dei rapporti determina, inevitabilmente, diverse implicazioni sul piano operativo, ossia l’ammontare degli obblighi normativi a cui sono sottoposte le ASD e le SSD affinché le stesse si possano considerare in regola.
Una prima difficoltà riguarda il coordinamento della nuova disciplina dello sport con il D.Lgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolare con la valutazione dei rischi a cui è tenuto il datore di lavoro.
In altre parole, se teniamo in considerazione che per lavoratore sportivo, a norma dell’articolo 25 D.Lgs. 36/2021 s’intende anche “l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara”, effettuare in concreto una valutazione dei rischi, ossia una “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza” rappresenta una criticità di non poco conto all’interno degli ambienti sportivi.
Invero, i rischi a cui sono sottoposti gli atleti o comunque i soggetti che dello sport ne fanno un mestiere sono ontologicamente opposti e diversi rispetto a quelli che si configurano all’interno di un’azienda “tradizionale”, in quanto si potrebbe considerare che l’infortunio, si pensi ad una slogatura, una frattura o semplicemente ad una tendinite, sono in qualche modo intrinseci all’attività sportiva stessa ed accettati come normali da parte di chi la pratica (quello che in teoria si definisce il rischio consentito).
In altre parole, il soggetto che pratica sport in qualche modo si assume – tacitamente – il totale rischio di incorrere in un infortunio derivante dallo svolgimento dell’attività stessa, non soltanto nello svolgimento in senso stretto, ossia nell’esercizio individuale dello sport, ma anche in caso di attività svolta con un altro soggetto, o in gruppo, ad esempio un infortunio può essere arrecato da un compagno di squadra, oppure in una competizione dall’avversario.
Allo stesso modo dicasi per gli allenatori, gli istruttori e i tecnici. Fino ad oggi lo spartiacque è stato il rispetto delle norme tecniche della disciplina sportiva praticata: sarà ancora questa la chiave di lettura dei futuri infortuni risarcibili?
In un simile contesto adeguare un obbligo di valutazione dei rischi, nonché adottare specifici DPI (dispositivi di protezione individuale) e misure atte a ridurre l’incorrere della verificazione di infortuni, per certi versi, appare piuttosto complesso, ma comunque imposto dalla normativa di Legge.
Anche qui saranno sufficienti le protezioni previste dai regolamenti federali?
Non soltanto in termini operativi, ma anche e soprattutto in termini economici, si pensi al premio Inail a cui saranno sottoposte le Asd e Ssd, nonché, vista la frequenza di interruzione dell’attività lavorativa di un atleta dovuta ad infortuni (si pensi banalmente ad un atleta di pugilato o kickboxing, o ancora di ginnastica artistica), ciò comporterà notevoli oneri anche in capo agli stessi Enti assicurativi privati.
Ma al di là di queste considerazioni, il vero fulcro della questione si riconduce ad una semplice domanda: in che modo può adeguarsi una Asd e Ssd alla normativa sulla sicurezza del lavoro?
Le considerazioni, a questo punto, sono molteplici.
In un’ottica di iniziale valutazione è necessario individuare e circoscrive nell’ambito sportivo la definizione di infortunio, ossia quale “lesione originata, in occasione di lavoro, da causa violenta che determini la morte della persona o ne menomi parzialmente o totalmente la capacità lavorativa”. Questa definizione può essere applicata nel mondo dello sport?
E ancora, sulla definizione di rischio, quale soglia di tollerabilità si può applicare nello svolgimento del lavoro sportivo?
Analogamente avviene per le misure di protezione e di prevenzione che le Asd e Ssd dovranno adottare al fine di ridurre il rischio, così inteso, di infortunio o malattia professionale, nonché nell’inquadrare e circoscrivere la responsabilità a cui sono tenuti a rispondere i datori di lavoro.
Tali aspetti necessiterebbero, peraltro, anche di una presa di posizione da parte del dipartimento per lo sport presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Coni e delle Federazioni nazionali (oltre che degli Enti di base), ponderata sulle singole attività sportive e sui Regolamenti che ne governano le funzioni, ciò in quanto il rischio insito nell’attività dovrà essere valutato in base ai canoni cui i rispettivi praticanti si ispirano e che sono approvati dagli enti pubblici di governo e controllo del sistema stesso.