ENTI NON COMMERCIALI – Le nuove figure tipizzate di lavoratore sportivo – prima parte
di Francesco Scrivano, Guido Martinelli
Una delle maggiori novità collegate alla entrata in vigore del nuovo articolo 25, D.Lgs. 36/2021 sul lavoro sportivo è dato dall’elencazione tassativa delle qualifiche dei soggetti che potranno essere ritenuti lavoratori sportivi e, come tali, soggetti alla nuova disciplina prevista dal legislatore.
Il presupposto per tutte le figure è che l’attività sia svolta a titolo oneroso.
Non sono invece lavoratori sportivi i tesserati “volontari” che percepiscono esclusivamente il rimborso delle spese vive sostenute per l’effettuazione dell’incarico nonché, per atleti, allenatori e istruttori i premi unilateralmente determinati dalla Federazione o dal sodalizio sportivo per il quale sono tesserati.
Atleta
È sicuramente la qualifica che offre le minori difficoltà all’interprete. Sono da considerare tali tutti i soggetti tesserati all’organismo affiliante in qualità di atleta/giocatore e svolgono tale attività a titolo oneroso.
Allenatore
Sono tali coloro i quali, però, oltre che essere tesserati, siano anche “abilitati” dall’organismo affiliante a seguire le attività agonistiche degli atleti tesserati.
Istruttore
In assenza di una definizione legislativa, si ritiene che debbano essere considerati tali i tesserati “abilitati” dall’organismo affiliante a svolgere attività formativa per la disciplina sportiva praticata. Si pone il problema se possa essere ugualmente riconosciuto il titolo conseguito da diverso organismo sportivo riconosciuto dal Coni rispetto a quello affiliante.
Il tema è il tesseramento.
Se l’organismo affiliante tessera come istruttore un soggetto che ha conseguito il brevetto da altro ente nulla osta, in assenza di tesseramento si ritiene che il mero possesso di brevetto rilasciato da altro ente non consenta il consolidarsi di una prestazione di lavoro sportivo.
Direttore tecnico
È la prima, delle figure indicate all’articolo 25, di cui viene, all’articolo 2, riportata la definizione.
Sono tali coloro i quali: “curano l’attività concernente l’individuazione degli indirizzi tecnici di una società sportiva, sovraintendono alla loro attuazione e coordinano le attività degli allenatori a cui è affidata la conduzione tecnica delle squadre delle società sportive”.
Dalla lettura della declaratoria si ritiene che il direttore tecnico, per essere considerato tale, dovrà essere tesserato per l’organismo affiliante e avere brevetto per allenare la squadra che partecipa al campionato di maggior livello del sodalizio sportivo contraente.
Attenzione perché la presenza del direttore tecnico potrebbe porre in condizione di eterodirezione (e quindi subordinazione) gli allenatori alle “sue dipendenze”.
Direttore sportivo
È la seconda figura normata dall’articolo 2. È tale colui: “che cura l’assetto organizzativo e amministrativo di una società sportiva con particolare riferimento alla gestione dei rapporti fra società, atleti e allenatori, nonché la conduzione di trattative con altre società sportive aventi ad oggetti il trasferimento di atleti, la stipulazione delle cessioni dei contratti e il tesseramento”.
Questa è una figura abbastanza problematica.
In primis perché la maggior parte delle Federazioni non ha un tesseramento specifico per la figura del direttore sportivo, (sarà comunque necessario un tesseramento almeno come dirigente sociale) anche perché non esiste una formazione specifica per tale ruolo se non quella, comunque, non in esclusiva del c.d. “manager dello sport”, intendendo come tale il soggetto in possesso della laurea magistrale in organizzazione e gestione dei servizi per lo sport e le attività motorie (classe LM-47).
Infine, perché molte delle attività indicate sono svolte da soggetti che all’interno del sodalizio sportivo hanno qualifiche diverse quali segretario generale o general manager.
Si pone pertanto un problema: se le attività sopra riportate sono svolte a titolo oneroso da soggetto che non possiede, formalmente, la qualifica di direttore sportivo, potrà essere ritenuto de facto lavoratore sportivo?
A mio avviso (ma appare opportuno sul punto attendere chiarimenti ufficiali) la risposta è positiva, prevalendo l’aspetto operativo delle funzioni rispetto alla qualifica formale, resta però un margine di dubbio che sarebbe opportuno venisse chiarito in una FAQ o in una circolare della Pubblica Amministrazione.
Inoltre queste funzioni si sovrappongono a quelle “classicamente” assegnate ai collaboratori amministrativo – gestionali.
Non possiamo dimenticare come la disciplina del direttore sportivo sia molto più favorevole di quella del collaboratore.
Nel suo caso diventano applicabili le semplificazioni delle funzioni lavoro previste con il registro delle attività sportive:
si applica la presunzione di co.co.co. per le prestazioni inferiori alle 24 ore (diamo già con fiducia il dato che diventerà ufficiale solo dopo l’approvazione del c.d. correttivo bis)
si applica l’aliquota previdenziale del 25%, tutte agevolazioni, queste, non applicabili alle collaborazioni amministrativo gestionali.
ENTI NON COMMERCIALI
Le nuove figure tipizzate di lavoratore sportivo – seconda parte
di Francesco Scrivano, Guido Martinelli
Proseguiamo l’analisi dei lavoratori sportivi tipizzati dall’articolo 25 D.Lgs. 36/2021 avviata con il precedente contributo.
Il preparatore atletico
È una delle figure di lavoratore sportivo mutuate dalla abrogata L. 91/1981.
Non è di facile individuazione in quanto la maggior parte di enti affilianti non ha, tra le proprie figure di tesserati, quella di preparatore atletico.
Ne deriva che il tesseramento, che ricordiamo essere obbligatorio per i lavoratori sportivi, dovrà essere necessariamente di natura tecnica (allenatore o istruttore).
Ci si chiede anche se il preparatore atletico, per l’attività svolta, oltre ad essere un tecnico della disciplina praticata debba essere, per la funzione svolta, anche un chinesiologo.
Alcun dato normativo porta a questa conclusione anche se, a nostro avviso, sarebbe auspicabile che così fosse.
Il direttore di gara
Rientrano in questa categoria tutti coloro i quali sono preposti al controllo, misurazione e verifica dello svolgimento di una manifestazione sportiva, indipendentemente dalla qualifica posseduta.
Ossia vi rientrano arbitri, ufficiali di gara, giudici di sedia, cronometristi, giudici di linea, addetti al referto, ecc., purché appunto tesserati e in possesso della abilitazione allo svolgimento di detta attività da parte dell’organismo affiliante di appartenenza.
Non vi rientrano quei dirigenti che, occasionalmente, svolgono dette funzioni per mancato arrivo o designazione del direttore di gara.
Gli altri lavoratori sportivi
Fino al 30 giugno 2023, sia pure, come è noto, in difformità dell’insegnamento della Cassazione, la circolare n. 1/16 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro stabiliva che potevano essere ricompresi tra i soggetti esercenti attività sportiva dilettantistica (e, quindi, come tali, a cui poteva applicarsi la disciplina dei redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m, Tuir) tutti coloro i quali svolgevano: “ ….. mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti e delle indicazioni fornite dalle singole federazioni, tra quelle necessarie per lo svolgimento delle attività sportivo-dilettantistiche, così come regolamentate dalle singole federazioni.”
Non vi era dubbio che l’espresso riferimento alle indicazioni fornite dalle singole federazioni legittimava queste, come era avvenuto, a pubblicare delibere di soggetti “autorizzati” al ricevimento di questi compensi.
Ma dal 1° luglio non è più così.
Il testo dell’articolo 25 D.Lgs. 36/2021 per come novellato dal secondo decreto correttivo approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri recita, nella parte di nostro interesse:
“È lavoratore sportivo ogni altro tesserato ai sensi dell’articolo 15 che svolge verso un corrispettivo le mansioni rientranti sulla base dei regolamenti tecnici dei singoli enti affilianti tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva“.
Quindi:
1) non si fa più alcun riferimento alle indicazioni delle federazioni;
2) il soggetto deve essere tesserato e deve avere una tessera collegata alla mansione svolta;
3) la mansione deve essere non solo ricompresa in un regolamento tecnico di una disciplina sportiva riconosciuta dal Coni ma deve essere anche “necessaria” allo svolgimento dell’attività sportiva.
Ne deriva, quindi, che nessun legittimo affidamento si potrà dare alle delibere delle Federazioni e degli enti che hanno in questi giorni emanato in tal senso, almeno in tutti i casi in cui non vi fosse un articolo del regolamento tecnico (che ricordo ha uno specifico iter di approvazione) che espressamente prevede quella funzione e se non si dimostrasse la necessità della funzione (come esempio positivo mi viene in mente chi sistema le boe del campo di regata nella vela) ai fini della competizione agonistica.
In assenza di tale stretto collegamento il lavoratore non potrà essere considerato lavoratore sportivo e in sede di accertamento saranno recuperate le imposte e i contributi non versati a seguito della erronea classificazione come lavoratore sportivo.
Ovviamente potranno invece regolarmente essere considerati lavoratori sportivi i soggetti che presentano i requisiti sopra descritti anche in assenza di delibera dell’organismo affiliante o comunque di citazione all’interno di questa.
Si ricorda, invece, che non rientrano tra i lavoratori sportivi i collaboratori amministrativi gestionali inquadrati come collaboratori coordinati e continuativi.
Ne consegue che i loro adempimenti lavoro non potranno essere eseguiti attraverso le funzioni del Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, non godranno della presunzione di co.co.co. per rapporti di durata inferiore al minimo indicato dal D.Lgs. 36/2021 e si applicherà loro l’aliquota ordinaria prevista per i co.co.co. (anche se fino al 31.12.2027 potranno calcolarla sul 50 per cento del compenso).
ENTI NON COMMERCIALI
La riforma dello sport. Finalmente il correttivo bis
di Guido Martinelli
Con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (G.U. n. 206 del 4 settembre 2023) del D.Lgs. 120/2023 che contiene disposizioni integrative e correttive dei Decreti Legislativi del 28 febbraio 2021 nn. 36, 37, 38, 39 e 40 appare definita la nuova disciplina della c.d. riforma dello sport (anche se si resta in attesa dei numerosi decreti attuativi previsti).
Il primo articolo contiene le modifiche al D.Lgs. 36/2021, quello sulla natura degli enti sportivi, dilettantistici e professionistici e sul lavoro sportivo.
Il primo comma perfeziona alcune definizioni contenute nell’articolo 2 del decreto originale.
Il secondo comma chiarisce un punto fondamentale. Gli enti del terzo settore che intendessero svolgere come attività di interesse generale quella sportiva dilettantistica non saranno tenuti ad inserire nella denominazione sociale tale finalità.
Il terzo comma precisa che le associazioni e società sportive dilettantistiche già iscritte al registro avranno tempo fino al 31 dicembre 2023 per adottare le eventuali modifiche statutarie resesi necessarie dalle nuove disposizioni della riforma. La mancata conformità ai criteri statutari previsti dalla norma impedisce l’iscrizione al registro e, scaduto il termine sopra indicato, comporterà la cancellazione dal registro per quelle sportive che non avessero provveduto all’adeguamento. Ai sensi di quanto previsto dal sesto comma le modifiche strettamente necessarie all’adeguamento dello statuto saranno esentate da imposta di registro. L’assemblea che le dovrà approvare dovrà, però, essere quella straordinaria e con i quorum costitutivi e deliberativi a tal fine previsti dallo statuto vigente.
In analogia con quanto già previsto per gli enti del terzo settore viene previsto che le sedi (da intendersi “sportive”) delle asd e ssd in cui si svolgono le attività statutarie possono prescindere dalla destinazione urbanistica dell’immobile.
Il quarto comma prevede che il mancato rispetto per due esercizi consecutivi dei criteri di ripartizione dei ricavi tra quelli conformi alle finalità istituzionali e quelli secondari e strumentali (il riferimento è ad un decreto che ne dovrebbe determinare le percentuali, purtroppo ad oggi non ancora pubblicato) comporta la cancellazione d’ufficio dal registro delle attività sportive.
Viene, poi, agevolata la possibilità per gli appartenenti ai corpi civili e militari dello Stato di fare attività lavorativa retribuita nell’ambito dello sport dilettantistico.
Successivamente il decreto interviene sulla disciplina prevista per l’utilizzo di animali nello sport introducendo ulteriori norme a tutela della loro sicurezza durante le attività agonistiche.
Il comma 17 e successivi intervengono sulla disciplina del nuovo rapporto di lavoro sportivo.
Si chiarisce che anche il rapporto di lavoro oneroso tra un tesserato ad un organismo affiliante (ad esempio atleta che ingaggi a sue spese un allenatore) rientra nel campo di applicazione del lavoro sportivo.
Viene chiarito che le mansioni dei lavoratori sportivi non tipizzati si potranno ricavare solo dalla lettura dei regolamenti tecnici delle varie discipline sportive riconosciute (pertanto nessuno spazio sembra esserci per figure come gli addetti stampa, marketing o comunicazione o per i dirigenti associativi) e dovranno essere individuati con decreto del Ministro per lo sport.
Gli enti sportivi si potranno avvalere di prestazioni d’opera occasionali.
L’autorizzazione per i dipendenti pubblici allo svolgimento di lavori sportivi dilettantistici potrà essere riconosciuta anche con la forma del silenzio assenso.
Non saranno tenuti all’autorizzazione gli appartenenti ai corpi civili e militari dello Stato distaccati presso gli enti sportivi affilianti.
Confermato l’aumento a 24 ore settimanali dell’ammontare dell’impegno al di sotto del quale la prestazione lavorativa si presume di collaborazione coordinata e continuativa.
Gli adempimenti e i versamenti dei contributi previdenziali dovuti per lavoro sportivo inquadrato come collaborazione coordinata e continuativa relativi ai periodi luglio – settembre 2023 potranno aver luogo entro il 31 ottobre di quest’anno.
Si conferma che ai lavoratori sportivi che conseguono proventi inferiori ai 5.000,00 euro si applicano, ai fini della sicurezza, le norme previste per i lavoratori autonomi.
Alle collaborazioni coordinate e continuative sportive dilettantistiche non si applica il premio Inail.
È stato stanziato un contributo in favore delle società e associazioni sportive dilettantistiche che hanno “conseguito ricavi di qualsiasi natura non superiori a euro 100.000” a fronte dei versamenti previdenziali cui sono state tenute relativi ai compensi del periodo luglio / novembre 2023. Il contributo è subordinato alla disciplina degli aiuti di Stato e sarà erogato con modalità che saranno stabilite con apposito decreto.
Il contributo non costituirà reddito per l’ente sportivo che lo avrà percepito e non inciderà sul rapporto tra attività principale e attività secondarie e strumentali.
Non si possono nascondere le perplessità sul “come”, in special modo per le associazioni non tenute alla approvazione di un bilancio secondo i criteri previsti dal codice civile, sarà possibile verificare la sussistenza dei requisiti indicati nella norma.
Gli importi inferiori agli 85.000 euro per percettore non saranno gravati da Irap.
Non potranno rientrare nella fattispecie delle collaborazioni amministrativo – gestionali quelle poste in essere da soggetti che svolgono tale attività iscritti ad albi professionali.
Viene istituito un osservatorio nazionale sul lavoro sportivo che valuterà le problematiche che deriveranno dalla entrata in vigore della riforma.
Importante intervento di modifica viene attuato al decreto n. 38 in materia di realizzazione e gestione di nuovi impianti sportivi.
Il dipartimento potrà iscrivere al Registro anche enti che praticano discipline sportive non riconosciute dal Coni e che ne posseggano i requisiti previsti dall’articolo 6 D.Lgs. 36/2021.
Tra le altre novità degne di nota, si segnala:
l’obbligo del deposito al Ras di atto costitutivo e statuto.
l’abolizione del modello EAS per le sportive.
Viene modificata, infine, la procedura per l’ottenimento della personalità giuridica tramite il Registro introducendo l’obbligo di un patrimonio minimo pari a euro 10.000.
ENTI NON COMMERCIALI
Le novità IVA in materia di sport
di Guido Martinelli
Nello scorso mese di agosto, in maniera anche inaspettata, è stato approvato l’articolo 36 bis L. 112/2023, (conversione D.L. 75/2023) recante la nuova disciplina per le prestazioni di servizi connessi con la pratica sportiva, in vigore dallo scorso 17.08.2023.
Il comma 1, in particolare, prevede l’esenzione Iva per le prestazioni di servizi strettamente connessi con la pratica dello sport, compresi quelli didattici e formativi, rese nei confronti di persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica da parte di organismi senza fine di lucro, compresi gli enti sportivi dilettantistici, di cui all’articolo 6 D.Lgs. 36/2021.
Il secondo comma, invece, recita: “Le prestazioni dei servizi didattici e formativi di cui al comma 1, rese prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, si intendono comprese nell’ambito di applicazione dell’articolo 10, primo comma, numero 20), D.P.R. 633/1972.” Fornendo, con effetto retroattivo, una interpretazione autentica della disciplina Iva delle attività didattiche e formative nello sport.
Da sottolineare che manca qualsiasi collegamento con la nuova disciplina Iva prevista per tutti gli enti associativi senza scopo di lucro di cui viene prevista l’entrata in vigore a far data dal prossimo primo luglio (articolo 5, comma 15 quater, D.L. 146/2021) in osservanza della procedura di infrazione comunitaria in essere.
Sotto il profilo soggettivo amplia i soggetti che possono svolgere attività sportiva “esente” ricomprendendo tutti gli enti senza scopo di lucro, anche se non iscritti al registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche.
Il riferimento generico, poi, agli enti sportivi dilettantistici di cui al citato articolo 6 D.Lgs. 36/2021 porta a ritenere che anche le società sportive che introducessero la parziale distribuzione degli utili previsti dal successivo articolo 8, comma 3 potranno applicare la disciplina in esame.
Altra novità importante, recepita dalla direttiva comunitaria, è che le persone acquirenti i servizi sportivi non debbono avere caratteristiche predeterminate.
Non sarà, pertanto, necessario ai fini del godimento di questa agevolazione, limitare l’erogazione dei servizi solo agli associati o ai tesserati.
Identificato così il requisito soggettivo, sotto il profilo oggettivo la norma non fa riferimento alla attività sportiva dilettantistica ma si limita a ricomprendere nell’area della esenzione da Iva “lo sport e l’educazione fisica”.
Questo porta a ritenere che la novella trova applicazione non solo nei confronti delle discipline sportive riconosciute dal Coni ma anche nei confronti di tutta quella che, forse più correttamente, alla luce della definizione indicata dall’articolo 2 D.Lgs. 36/2021 è da intendersi come attività motoria. È ovvio, però, che nei casi di servizi di discipline “non Coni” non saranno applicabili le norme sul lavoro sportivo recentemente introdotte.
La scelta operata dal legislatore prevede alcuni aspetti per i quali diventa urgente un intervento chiarificatore da parte della Agenzia delle entrate.
Infatti, il passaggio da attività posta fuori campo Iva (la gran parte delle asd. e ssd. che offrono servizi sportivi lo fanno esclusivamente nei confronti di associati o tesserati) ad attività esente da Iva comporta conseguenze formali (l’apertura della posizione Iva e gli adempimenti conseguenti allo svolgimento di attività soggette a detta imposta) ma anche potenzialmente sostanziali.
Infatti, fino ad oggi, ai fini Ires le associazioni sportive hanno applicato l’articolo 148, comma 3, Tuir, che qualifica le operazioni svolte in favore di associati o tesserati in conformità alle finalità istituzionali “non commerciali”.
Questa qualificazione, però, da parte di tutta la giurisprudenza più recente (Cassazione n. 21707/2023) non è interpretata in maniera oggettiva ma soggettiva, ossia legata “all’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro”.
Ne consegue che aver fatto rientrare nel campo di applicazione dell’Iva i servizi sportivi, sia pure esenti, (e quindi commerciali) potrà continuare a far qualificare i medesimi servizi come “non commerciali” (ovviamente sussistendone i presupposti di attività di discipline Coni svolte in favore di associati o tesserati) ai fini delle imposte sui redditi?
Analogamente, si pone un ulteriore problema: la norma in esame non abroga il vigente articolo 4, comma 4, D.P.R. 633/1972, contrariamente a quanto invece accadrà dal prossimo primo luglio.
La domanda che ci si pone è: potranno le associazioni sportive che intendessero continuare a erogare servizi sportivi solo ad associati e tesserati ritenere che non siano tenuti ad applicare la nuova disciplina e continuare ad applicare, almeno fino al 30 giugno, la fattispecie di attività posta fuori campo Iva?
Il rischio che si pone è che in questo caso avremmo sui servizi sportivi tre diversi regimi Iva:
per le asd/ssd con esclusione da Iva per i tesserati;
esenzione da Iva per i terzi e
per le imprese sportive, assoggettamento ad Iva con aliquota ordinaria.
Il passaggio dei servizi sportivi da prestazioni poste fuori campo a prestazioni esenti nasce da una procedura di infrazione europea.
Le direttive unionali parlano appunto di prestazione esente. Fino al 16.8.2023 scorso si poteva sostenere che l’Italia riteneva di non conformarsi a tale indicazione ma ora, in presenza di una norma interna come quella in commento, si potrà ancora usare una agevolazione contraria alle direttive unionali e, oggi, anche ad una norma di Legge dello Stato? Chi risponde affermativamente lo motiva sulla presunta natura di norma speciale dell’articolo 4, D.P.R. 633/1972, oggi vigente.
Personalmente vedo sotto il profilo giuridico opinabile che ci possa essere una norma speciale contenuta in un decreto che possa continuare a disciplinare una fattispecie inquadrata da una norma di carattere generale introdotta dopo 50 anni da una legge dello Stato e nel rispetto della disciplina europea.
Sicuramente l’incertezza della disciplina applicabile è un dato oggettivo, pertanto, trattandosi di adempimenti formali, le conseguenze sanzionatorie sarebbero minime: è auspicabile un chiarimento amministrativo.
ENTI NON COMMERCIALI
I nuovi lavoratori sportivi – prima parte
di Guido Martinelli
L’articolo 5, L. 86/2019 (Legge delega della riforma sportiva), nel delineare la nuova figura del lavoratore sportivo precisa che la disciplina relativa dovrà garantire: “l’osservanza dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nel lavoro sportivo, sia nel settore dilettantistico sia nel settore professionistico e di assicurare la stabilità e la sostenibilità del sistema dello sport”.
Successivamente introduce il concetto della “specificità” del lavoro sportivo. (…c) Individuazione … nell’ambito della specificità di cui alla lettera b) del presente comma della figura del lavoratore sportivo ivi compresa la figura del direttore di gara senza alcuna distinzione di genere indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva svolta …»)
Questo conduce ad una prima riflessione: il rapporto di lavoro sportivo ha i medesimi contenuti giuridici sia se svolto in forma dilettantistica che in forma professionistica.
Detto concetto viene anche ripreso dall’articolo 25, D.Lgs. 36/2021 che, al comma uno bis, recita: « La disciplina del lavoro sportivo è posta a tutela della dignità dei lavoratori nel rispetto del principio di specificità dello sport…»
Ma cosa si deve intendere per specificità dello sport?
La circostanza che il comma 2 del medesimo articolo riporta che il lavoro sportivo può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato (o di un rapporto di lavoro autonomo) porta ad escludere la tesi interpretativa esposta nella circolare n. 1/2016 dell’Ispettorato nazionale del lavoro, secondo la quale “… la volontà del legislatore … è stata certamente quella di riservare ai rapporti di collaborazione sportivo-dilettantistici una normativa speciale volta a favorire e ad agevolare la pratica dello sport dilettantistico rimarcando la specificità di tale settore che contempla anche un trattamento differenziato rispetto alla disciplina generale che regola i rapporti di lavoro …”.
La scelta di non condividere il parere dell’Ispettorato nazionale del lavoro ha portato, come sua logica conseguenza, l’abrogazione, a far data dallo scorso 30.6.2023, della parte dell’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir, relativa ai compensi sportivi.
Per potere rispondere alla domanda dobbiamo considerare un altro aspetto. Chi opera nello sport a titolo oneroso lo fa, spesso e volentieri, “anche” per passione. Quindi la componente sinallagmatica del rapporto di lavoro è parzialmente coperta dal piacere che lo stesso lavoratore riceve nello svolgimento della prestazione sportiva. Questo lo induce ad accettare determinati rischi (il c.d. rischio consentito che si assumono gli sportivi che svolgono, ad esempio, sport qualificabili come attività pericolosa) o l’accettazione di una eterodirezione da parte, ad esempio, dell’allenatore o del maestro, che ha presupposti diversi di quella in essere tra il titolare di una azienda e i suoi dipendenti.
Questo ha portato il legislatore a fissare, per l’atleta professionista, delle presunzioni di lavoro subordinato e, al contrario, per l’atleta dilettante, delle presunzioni di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (che definiscono il profilo strettamente giuslavoristico), a cui si aggiungono anche determinate agevolazioni fiscali e contributive, per garantire il principio legislativamente previsto della sostenibilità.
Quindi perché vi sia lavoro sportivo occorre che sia svolto nell’ambito dell’ordinamento sportivo. Ciò significa che i lavoratori sportivi, tutti, dovranno essere soggetti di questo ordinamento (e lo si diventa con il tesseramento) e altrettanto lo dovranno essere i committenti (altri tesserati o soggetti riconosciuti dall’ordinamento sportivo quali Asd, Ssd, federazioni ed enti di promozione sportiva, Coni, Cip e sport e salute). La prestazione dovrà, inoltre, essere di carattere “infungibile”, ossia esclusivamente di prestazione sportiva riconosciuta come tale.
Ne deriva che altre prestazioni collegate con il mondo dello sport (ad esempio, in ordine sparso, medici, fisioterapisti, custodi, manutentori, magazzinieri, cassiere, addetti al marketing o alla comunicazione) non potranno mai essere lavoratori sportivi, in quanto la medesima loro prestazione potrebbe liberamente essere svolta in realtà non sportive e per le quali, pertanto, non appare possibile presumere la componente “passione”.